passaparola

martedì 20 maggio 2008

PAOLO BORSELLINO

E' con grande piacere che raccolgo l'invito di Tindari Baglione di scrivere poche righe in occasione del nono anniversario della scomparsa di Paolo Borsellino, con il quale ho avuto la fortuna e l'onore di condividere un'indimenticabile esperienza di lavoro presso la Procura della Repubblica di Marsala, ma è al contempo con altrettanto profondo dolore che, voltandomi indietro a ripercorrere quegli anni e quei terribili eventi, constato come quella rabbia e sdegno che seguì agli efferati eccidi dell'estate 1992 abbia lasciato il posto ad una stanca apatia che scivola (temo) verso l'oblio. Vivo e lavoro ormai lontano dalla Sicilia e le mie opinioni si formano solamente sulla base di una lettura dei fatti di cronaca riportati dai giornali e su un esame critico dei provvedimenti legislativi fioriti in questi anni, oltre che su conversazioni (ahimè, sempre più sporadiche) con i colleghi che ancor lavorano in quei luoghi, ed al termine delle mie riflessioni, non posso che pervenire alla conclusione che forse il giorno in cui la mafia sarà debellata è ancora molto lontano. E, con un sapore amaro, mi ritornano in mente le parole di Paolo che, invece, nel suo inguaribile ottimismo sosteneva con convinzione che “cosa nostra” era destinata ad un'ineluttabile sconfitta. Il suo ragionamento non era, però, destituito di fondamento, ma si basava (come sempre, del resto) su elementi di fatto incontestabili in quei tempi. Osservava Paolo che uno della sua generazione non poteva essere pessimista perchè quando lui era ancora un bambino che giocava nel quartiere della Kalsa di Palermo chi nominava la mafia era considerato uno che voleva diffamare la Sicilia ed i siciliani perchè, secondo l'opinione comune, "la mafia non esisteva" e non doveva esistere. Con il passare degli anni egli, invece, aveva potuto constatare che nelle vie di Palermo i giovani hanno iniziato a parlare della mafia, ne hanno ammesso l'esistenza e, nel contempo, hanno cominciato a negarle il consenso. Se quindi è vero, come sosteneva Paolo Borsellino, che discutere di mafia, anzi, il solo fatto di nominarla costituisce il primo ineludibile gradino per combatterla e sconfiggerla, l'assordante silenzio sul cancerogeno fenomeno mafioso ascoltato nei programmi elettorali e di governo mi induce a ritenere che si è fatto certamente un passo indietro rispetto alle realistiche previsioni formulate dal compianto collega. Oggi la lotta alla mafia rappresenta una vuota "clausola di stile" da inserire nei discorsi propagandistici ed il contrasto ai poteri criminali non è più inteso come impegno della comunità nel suo intero, ma solo come attività demandata all'esclusivo ed encomiabile impegno di magistrati totalmente isolati dal resto della società e delle istituzioni. Mi è stato sollecitato un ricordo di Paolo Borsellino ed io non posso che rammentare la sua bontà. Molte persone, non appena vengono a sapere dell'esperienza di lavoro che ho vissuto con Paolo, mi chiedono un giudizio personale su di lui. lo rispondo sempre: "Paolo era un uomo buono" e tale affermazione mi pare che deluda i miei interlocutori, i quali mi sembra che la intendano come riduttiva della figura di questo straordinario magistrato. lo, invece, ancora oggi ritengo che nessun'altra definizione meglio si attagli a ciò che Paolo è stato. Con questo non voglio sottacere le straordinarie doti professionali di Paolo, magistrato insigne, dotato di grande carisma, in grado di individuare subito il punto fondamentale di ogni questione che gli si poneva di fronte e capace di risolverla sempre nel modo più equo e conforme a giustizia. Di lui ho saputo apprezzare l'eccezionale capacità di garantire a noi sostituti una completa autonomia, facendoci sempre, nel contempo, sentire la sua vigile presenza protettiva e considero come fondamentale insegnamento di civiltà giuridica le sue continue esortazioni a rispettare la legge e ad applicarla con rigore ed equità. Del resto, i successi professionali di Paolo Borsellino sono noti a tutti: basti pensare alla sentenza-ordinanza del primo maxi- processo alla mafia, scritta, insieme a Giovanni Falcone, durante un'estate trascorsa all'interno dell'istituto penitenziario dell'Asinara, ove lo Stato li aveva costretti ad alloggiare in quanto impossibilitato a garantirgli altrove un'idonea protezione, oppure agli ordini di cattura emessi sempre nell'ambito di quel processo e dei quali, con orgoglio, Paolo amava ripetere che erano passati indenni al seppur severo vaglio della Corte di Cassazione. Nonostante ciò, però, io continuo a ritenere che la dote più rilevante di Paolo Borsellino sia stata la bontà d'animo ed in questo sono stato confortato da quanto riferitomi anche da sua moglie Agnese che mi ha parlato di quel "fanciullino di pascoliana memoria" che albergava nell'animo si suo marito. Paolo era un puro d'animo, un uomo di specchiata onestà e di grande integrità morale, una persona che ha vissuto una vita cristallina. lo ho sempre ammirato la sua abilità di individuare la parte più debole di ogni vicenda umana in cui per ragioni personali o professionali si imbatteva e la sua capacità di schierarsi immediatamente a fianco di chi aveva subito dei torti. Lo rammento come un uomo di grande sensibilità e tra tutti i ricordi che si affastellano nella mia mente mi piace ricordare un episodio che ha visto come protagonista una bimba, perchè in esso ritrovo la sintesi più mirabile delle qualità di Paolo e perchè ritengo che solo una persona munita di grande sensibilità, come era lui, è in grado di stabilire un rapporto così intenso con chi, come i bambini, costituisce l'espressione più alta della purezza dei sentimenti e della ingenuità. Ero appena arrivato a Marsala e Paolo alla fine di una giornata di lavoro mi invitò a cena insieme agli altri colleghi. Mi disse che voleva portarmi a mangiare in un posto incantevole. In effetti il ristorante si trovava su una lingua di terra proiettata nel mare siciliano e la serata di tarda primavera faceva sì che al tramonto il mare ed il cielo si accendessero di mille luci e quasi si confondessero in un caleidoscopio di colori. Appena entrati nel ristorante vidi farsi incontro a Paolo una bambina di non più di sei anni, con capelli biondi raccolti in due codine, che si gettò tra le sue braccia. Paolo la prese in braccio e la accarezzò teneramente, tant'è che la bimba rimase per quasi tutta la serata sulle sue ginocchia. Tale atteggiamento mi colpì, ma il mio stupore cessò quando alla fine della serata seppi chi era quella bimba. Si trattava dell'unico testimone oculare della caduta di un aereo militare avvenuta nei pressi dell'aeroporto di Trapani. Paolo, che indagava su quel fatto, aveva dovuto sentire quella bambina rimasta comprensibilmente scossa dalla scena alla quale aveva assistito e, consapevole della forma di violenza che inevitabilmente andava ad esercitare sulla bambina, obbligandola a ricordare un fatto per lei doloroso, era riuscito a trovare quelle parole, quei modi e quei gesti che solo chi ha una grande purezza d'animo può utilizzare senza ferire la sensibilità di un essere ingenuo e fragile come una bambina di quell'età. Quest'uomo era Paolo Borsellino e così mi piace ricordarlo.

di Luciano Costantini Sost. Proc. Rep. Pistoia

Nessun commento: